Rilassamento profondo di gratitudine

Chiudiamo gli occhi; se abbiamo la tendenza ad addormentarci, invece, sarà meglio tenerli aperti, con lo sguardo sfocato.
Inspirando ed espirando, prendiamo consapevolezza di tutto corpo, sdraiato.
Sentiamo tutte le zone che toccano il pavimento o il materassino: i calcagni, la parte posteriore delle gambe, le natiche, la schiena, le braccia, il dorso delle mani, la parte posteriore della testa.
A ogni espirazione, sentiamo sempre di più il sostegno del suolo – la Madre Terra – e ci abbandoniamo con fiducia, rilasciando ogni tensione.
Prendiamo consapevolezza dell’inspirazione e dell’espirazione, così come sono, senza modificarle. Inspiro e sento alzarsi la pancia, espiro e la sento abbassarsi.
Seguiamo il respiro per qualche momento.

Ora prendiamo consapevolezza dei piedi. Inspirando, percepisco entrambi i piedi; espirando sorrido loro. Li ringrazio di portarmi di qua e di là, con la loro meravigliosa e complessa struttura di ossicini e articolazioni; di solito diamo loro poca importanza, magari li rinchiudiamo in scarpe poco adatte a loro; invece in noi esseri umani, che siamo gli unici mammiferi in stazione eretta, i piedi riescono da soli a fare da base e a dare movimento all’intero corpo: decine e decine di chili in verticale su una struttura così piccola, eppure così efficiente. I piedi ci insegnano la mobilità, la capacità di non restare bloccati su quel che siamo e che conosciamo, la capacità di muoverci per esplorare e abitare il nostro mondo, di andare incontro agli altri esseri e fenomeni.
Inspirando provo gratitudine per i miei piedi, per quello che sono e per quello che mi insegnano, espirando sorrido e invio loro il mio affetto e la mia cura.

Porto ora la mia consapevolezza a risalire per i polpacci, rilassandoli e lasciandoli affondare nel materassino. Inspiro – consapevolezza dei polpacci – espiro – rilasso.
Arriviamo ora alle ginocchia. Le ginocchia mi permettono di camminare in scioltezza, di salire e scendere le scale, di sedermi e alzarmi da una sedia, di prosternarmi nella pratica del Toccare la Terra. Possiamo considerarle il simbolo della flessibilità. Care ginocchia, che io possa imparare da voi la disponibilità, la capacità di prendere la posizione più appropriata al momento, che sia solidamente eretta o nella flessione più accentuata, come in meditazione seduta; ma sempre nell’equilibrio e nella giusta misura. Inspirando provo gratitudine per le mie ginocchia, per quello che sono e per quello che mi insegnano; espirando sorrido e invio loro il mio affetto e la mia cura.
Salgo ora con la mente su per le gambe. Sento i muscoli delle cosce, che sono i più robusti e voluminosi di tutto il corpo, e in mezzo a loro visualizzo i femori, che sono a loro volta le ossa più lunghe e robuste di tutto il corpo. Dai miei femori ho molto da imparare: la forza, la solidità, innanzitutto. Una robustezza e una solidità non rigida, ma fatta di una struttura organica e viva che si rinnova di continuo – come tutte le ossa in genere –  con una zona centrale più spugnosa capace di generare cose preziose: i globuli rossi. Forza, robustezza e solidità – ma che si rinnovano di continuo e capaci, al nocciolo, di generare vita: davvero un insegnamento prezioso, quello che mi viene dai miei femori! Cari femori, che io possa imparare da voi queste qualità; e che sia capace di prendermi cura di voi con l’alimentazione giusta e la giusta attività fisica perché le possiate conservare a lungo. Inspirando provo gratitudine per i miei femori per quello che sono e per quello che mi insegnano;
espirando sorrido e invio loro il mio affetto e la mia cura.

Ora porto la consapevolezza su per il corpo, rilassando ogni tensione e lasciandolo ben affondare nel materassino a ogni espirazione. Prendo consapevolezza della mia pancia e degli organi che racchiude, del sistema digerente: stomaco, fegato e intestino. Insieme, questi organi sono in grado di elaborare ciò che ricevono, cibo e bevande, e assorbire tutti gli elementi nutritivi;  sanno lasciar andare quello che non serve all’organismo, in modo da non appesantirlo inutilmente; e sanno anche identificare quello che potrebbe essere nocivo ed espellerlo. Identificare, selezionare, assorbire, eliminare: davvero ho molto da imparare dal mio sistema digerente. Posso imparare a essere consapevole degli stimoli che mi arrivano, a identificare quanto c’è di salutare e nutriente – affetti, avvenimenti, esperienze e insegnamenti che mi possono nutrire e far crescere – e ad assorbirli; e posso imparare anche a identificare gli stimoli che sono nocivi, i “veleni” come le immagini e le situazioni che mi possono intossicare o che mi ingombrano inutilmente, e a lasciarli cadere, oppure se li ho ingeriti a eliminarli.
Inspirando provo gratitudine per il mio sistema digerente per quello che è e per quello che mi insegna;
espirando sorrido e gli invio il mio affetto e la mia cura.

Inspirando sono consapevole che sto inspirando, espirando sono consapevole che sto espirando:
i miei polmoni, ora, vengono al centro della mio campo di consapevolezza. Per qualche momento mi limito a osservarne l’attività: si riempiono – si svuotano. Seguo tutta la durata dell’inspirazione – tutta la durata dell’espirazione – da dentro, identificandomi per un attimo con i miei polmoni. Sono come due grandi spugne che si espandono e comprimono dal nostro primo respiro, appena nati, fino all’ultimo respiro in punto di morte, scambiando i gas della vita – l’aria ricca di ossigeno che entra, l’aria satura di anidride carbonica che esce. Sono una vasta superficie di scambio, i miei polmoni: insieme alla pelle sono la mia zona di confine, il punto in cui il mio essere tocca il “fuori “. Sono capaci di inspirare l’aria pura di montagna come l’aria inquinata del centro della città, di inalare il fumo del sigaro del vicino come l’aria frizzante del primo mattino, quella satura d’acqua di una sauna – o di un monsone – e quella secchissima delle giornate ventose in inverno: loro continuano il loro scambio, pacati e fiduciosi: dentro, fuori. Inspiro, espiro. Possono respirare lentissimi, in meditazione, o scambiare velocemente grandi quantità d’aria, se necessario, come durante una corsa o un parto. Anche dai miei polmoni ho molto da imparare: il contatto –  il contatto aperto e fiducioso; l’adattabilità; la costanza. Mi rendo conto di quanto siano preziosi e mi impegno a rispettarli e a non metterli in difficoltà con contatti troppo traumatici o tossici: aria gelata, fumo, inquinamento.
Inspirando provo gratitudine per i miei polmoni per quello che sono e per quello che mi insegnano;
espirando sorrido e invio loro il mio affetto e la mia cura.

Dai polmoni, ora porto la consapevolezza al cuore. Per qualche momento cerco di percepirne il battito, con attenzione e affetto. Il mio cuore non ha mai smesso di battere, fin da quando ero ancora nella pancia di mia madre. Potrà modificare il ritmo, se ci sono condizioni che lo stimolano o lo rallentano (una febbre – salire le scale – un innamoramento – la pratica meditativa – il sonno – una malattia) ma non fa mai una sosta. Non va mai in ferie. Anche dal mio cuore ho molto da imparare: le doti del maratoneta. La resistenza; la costanza; la capacità di compensazione; soprattutto l’affidabilità. Davvero abbiamo di che essere grati al cuore, ogni mattina quando apriamo gli occhi: mentre dormivamo lui è andato avanti a pompare, solo un po’ più lentamente, e questo gli è bastato per riposarsi. E’ una parte di noi da cui abbiamo molto da imparare. La costanza – nella pratica, per esempio; l’affidabilità, che fa sì che gli altri possano far conto su di noi; l’elasticità, la capacità di alternare contrazione e distensione.
Inspirando provo gratitudine per il mio cuore per quello che è e per quello che mi insegna;
espirando sorrido e gli invio il mio affetto e la mia cura.

Anche la cassa toracica merita ora la mia consapevolezza. Costole, sterno, clavicole: un sistema insieme robusto e mobile, che abbraccia e protegge organi delicatissimi ed essenziali come i polmoni e il cuore. Sa dare sostegno e protezione allo stesso tempo lasciando libertà di movimento, libertà d’azione; la sottovalutiamo finché non ci facciamo male a una costola, solo allora scopriamo quanto movimento richiede alla cassa toracica respirare, tossire, ridere, starnutire, cantare, parlare. Inspiriamo ed espiriamo alcune volte, riempiendo bene i polmoni e poi svuotandoli del tutto, e prendiamo consapevolezza di quanto sia mobile la nostra cassa toracica.
Ora invece respiriamo in maniera più sottile e leggera, lasciando che il respiro avvenga da sé.
Che cosa ci insegna la nostra cassa toracica? È un insegnamento prezioso per i genitori, gli insegnanti, tutti coloro che si trovano a contatto con i bambini e i giovani: proteggere e contenere in modo sicuro e insieme elastico, senza costringere, senza limitare.
Inspirando provo gratitudine per la mia cassa toracica per quello che è e per quello che mi insegna;
espirando sorrido e gli invio il mio affetto e la mia cura.

Ora prendo contatto con gli organi o le parti del corpo che in me hanno qualche difficoltà o debolezza, che hanno bisogno di cure. Tramite loro, imparo a fare amicizia con l’imperfezione, la debolezza, la fragilità. In un bosco ci sono alberi più sani e robusti e alberi più deboli, che patiscono l’attacco dei parassiti o il vento o i fulmini, e non per questo il bosco è meno bello e completo; così è anche nel mio organismo, come in quello di ognuno di noi. Inspirando riconosco le parti più robuste e sane del mio corpo, espirando sorrido loro con gratitudine. Inspirando, riconosco le parti più fragili del mio corpo, espirando sorrido loro con amorevolezza, determinata a prendermene cura.
Provo gratitudine per quello che posso imparare da loro, soprattutto la consapevolezza di quanto sia preziosa questa mia esistenza sotto forma umana.

Infine porto la mia consapevolezza al capo e rilasso il cervello nella scatola cranica. È un organo prezioso da cui in buona parte dipendono tutti gli altri, la parte più delicata e sottile e misteriosa e ammirevole. Se apro le palpebre è perché una piccola parte del mio cervello lo consente, se ricordo l’espressione di mio nonno è perché un’altra piccola parte del mio cervello ha proprio questa funzione, se faccio esperienza di un sapore o di una sensazione è perché il cervello me lo consente, con funzioni complicatissime che si compiono in frazioni di secondi. Possiamo aprirci al mistero di ciò che non conosciamo, in noi come nell’universo, con lo stupore dei bambini, e lasciare che il cervello si rilassi, abbandonando tutto il suo peso con delicatezza nel suo nido, la scatola cranica.
In questo momento non devo decidere, valutare, progettare, risolvere niente: c’è solo il respiro che entra e che esce, il mio e quello dei compagni di pratica tutt’intorno, in uno spazio e un tempo sicuro e protetto. Con gratitudine, inspirando ti lascio riposare, cervello. Espirando ti sorrido, con gratitudine.

[canto – Tre suoni di campana – seguono indicazioni per uscire dal rilassamento profondo]