Vita di Siddharta il Buddha

Vita di Siddharta il Buddha

Biografia narrativa del Buddha storico, con il contesto in cui sono nati gli insegnamenti principali. Contiene l’indicazione delle fonti di ognuno degli insegnamenti esposti nel corso del testo.

Ringraziamo Silvia Lombardi per il commento che segue, dedicato a questo splendido libro:

“Un romanzo? Un documento storico? Un insegnamento spirituale? Ebbene, questo libro è tutto questo e molto di più.

Ad esempio, io l’ho usato come guida turistica per organizzarmi il viaggio in India! Mentre vi scrivo, sto riguardando il libro e vedo che in una pagina vuota all’inizio ho segnato le località che il Buddha tocca nel racconto e sotto a ognuna ho elencato i numeri di pagina dove vi sono raccontati gli avvenimenti che accadono in quei luoghi. Così, quando nel viaggio mi sono trovata PROPRIO in quel preciso posto, sono andata a rileggermi i vari passaggi, rievocando i vari personaggi, le parabole che Siddharta raccontava, l’atmosfera di quei tempi.

Se chiudevo gli occhi, mi sembrava di essere lì con lui, a sentire quei dialoghi, a partecipare agli insegnamenti che offriva… Mi sono emozionata, commossa, sentendo che il tempo trascorso da quegli avvenimenti lontani ai momenti che stavo trascorrendo in quei luoghi, non aveva portato via nulla dell’intensità e dell’importanza che questi potevano rivestire per me e per l’umanità. Thay ha davvero fatto un capolavoro!

Certo ora i grattacieli e il frastuono degli automezzi nascondono il silenzio della campagna e le vaste foreste pullulanti di animali e di monaci di allora, così come sono svaniti i carri trainati dai cavalli e i prati di erba kusa – che i tre ragazzini avevano raccolto e offerto al Buddha per farne il suo cuscino da meditazione nel boschetto di Uruvela; ma qualcosa di impalpabile è rimasto – se solo mi ricollego col cuore al momento in cui il Buddha iniziava la sua avventura spirituale e poi il suo insegnamento.

Thay riesce a farci sentire vicino l’uomo Siddharta, prima che ancora gli balenasse l’idea di percorrere il sentiero, prima… che ci fosse un sentiero.

Riesce a farcelo sentire davvero un essere umano come noi, grazie anche al fatto che evita di riportarci i miracoli – citati in alcune tradizioni spirituali – e al fatto che ci racconta delle sue difficoltà avute sia nella società sia all’interno della sua stessa comunità monastica.

Per farlo, Thay attinge ai testi originari e più antichi – come dice lui stesso nella nota iniziale, sia i Nikàya pali che gli Āgama cinesi.

In questo libro si può stare con Siddharta davvero come un amico e vedere come la sua figura e quella degli altri personaggi siano ancora perfettamente attuali: la moglie adorata Yashodara eppure abbandonata, il padre Suddhodana tradito nelle sue aspettative di vedere il figlio diventare il suo successore alla guida del paese, il figlio Rāhula che nella fanciullezza non ha un padre a guidarlo, ma poi trova la sua strada per essere felice, il cugino Devadatta che rimane ferito dai comportamenti di Siddharta e soffre di gelosia per tutta la sua esistenza, cercando a sua volta di far soffrire il Buddha, arrivando a cercare di ucciderlo più volte. Tutti questi personaggi sono ancora vivi oggi, qui e ora.

Il Buddha, raggiunta l’illuminazione sotto l’albero a Gaya (poi Bodh Gaya), si mette in viaggio e lo immagino camminare, lentamente, con dignità e con uno sguardo intenso e sereno: una ciotola in mano per elemosinare il cibo, una veste di ricambio sulla spalla e… nient’altro. Che libertà, che gioia: camminare per camminare, respirare accordando il ritmo con il passo, con il solo scopo di testimoniare un modo nuovo di essere vivo, completamente risvegliato a ciò che accade dentro e intorno. A volte cerco di fare mia questa esperienza, di sentire come poteva essere espansa la sua coscienza mentre camminava e contemporaneamente percepiva sia la propria gioia, sia la sofferenza di uomini e animali.

Come sarà stata potente in lui in quel momento la determinazione a condividere la sua esperienza!

In mezzo alle pagine del libro trovo foglie secche di bambù, raccolte a Patna, oppure più avanti una foglia dell’albero della Bodhi di Bodh Gaya, a forma di cuore.

Di questo viaggio in India ho ricordi a volte buffi – come quando ho comprato un bel cuscino zafu in un negozio vicino al tempio di Bodh Gaya e mi sono seduta sotto l’albero della Bodhi per imitare il Buddha: il luogo meno propizio per far questo, oggi! Un sacco di gente viene in pellegrinaggio, vuole toccare l’albero, vuole ricoprirlo di foglia d’oro e … nel farlo ti calpesta, strilla, fa  sgretolare anche le più fervide intenzioni meditative! Ricordi a volte frustranti – come quando eravamo a Rajagrha, al Picco dell’Avvoltoio e un diluvio d’acqua ci ha impedito di fare la tanto agognata ascesa al monte!

Quella di Siddharta è una grande storia, lunga e ricca come tutte quelle indiane sanno essere e possiamo trovarvi proprio tutto. Il momento tanto emozionante che a me rimane nel cuore è quando di notte Siddharta, in compagnia del suo scudiero Channa e del suo fedele cavallo Kanthaka, lascia il palazzo in cui viveva la sua vita privilegiata e parte verso l’ignoto, spinto solo da uno spirito di ricerca e l’acuto desiderio di trovare un’uscita dalla sofferenza di tutti gli esseri.

E quando poi, dopo una lunga galoppata durata tutta la notte fino ai confini del regno, saluta il suo scudiero, gli consegna i suoi capelli recisi, la spada e la collana, saluta con affetto il suo cavallo che si mette a lacrimare, comprendendo che si tratta di un momento di grande svolta. (Questo passaggio l’ho portato all’esame di sanscrito e ci siamo commossi tutti).

Insomma, che sia davanti al camino d’inverno o in spiaggia sotto l’ombrellone, è un libro imperdibile, che rileggerete anche in seguito, proprio come ho fatto io. Buona lettura,”


Autore:
Thich Nhat Hanh
Titolo originale:
Old Path, White Clouds
Tradotto da:
Gianpaolo Fiorentini
Editore:
Ubaldini
Anno:
1992

Biografia narrativa del Buddha storico, con il contesto in cui sono nati gli insegnamenti principali. Contiene l’indicazione delle fonti di ognuno degli insegnamenti esposti nel corso del testo.

Ringraziamo Silvia Lombardi per il commento che segue, dedicato a questo splendido libro:

“Un romanzo? Un documento storico? Un insegnamento spirituale? Ebbene, questo libro è tutto questo e molto di più.

Ad esempio, io l’ho usato come guida turistica per organizzarmi il viaggio in India! Mentre vi scrivo, sto riguardando il libro e vedo che in una pagina vuota all’inizio ho segnato le località che il Buddha tocca nel racconto e sotto a ognuna ho elencato i numeri di pagina dove vi sono raccontati gli avvenimenti che accadono in quei luoghi. Così, quando nel viaggio mi sono trovata PROPRIO in quel preciso posto, sono andata a rileggermi i vari passaggi, rievocando i vari personaggi, le parabole che Siddharta raccontava, l’atmosfera di quei tempi.

Se chiudevo gli occhi, mi sembrava di essere lì con lui, a sentire quei dialoghi, a partecipare agli insegnamenti che offriva… Mi sono emozionata, commossa, sentendo che il tempo trascorso da quegli avvenimenti lontani ai momenti che stavo trascorrendo in quei luoghi, non aveva portato via nulla dell’intensità e dell’importanza che questi potevano rivestire per me e per l’umanità. Thay ha davvero fatto un capolavoro!

Certo ora i grattacieli e il frastuono degli automezzi nascondono il silenzio della campagna e le vaste foreste pullulanti di animali e di monaci di allora, così come sono svaniti i carri trainati dai cavalli e i prati di erba kusa – che i tre ragazzini avevano raccolto e offerto al Buddha per farne il suo cuscino da meditazione nel boschetto di Uruvela; ma qualcosa di impalpabile è rimasto – se solo mi ricollego col cuore al momento in cui il Buddha iniziava la sua avventura spirituale e poi il suo insegnamento.

Thay riesce a farci sentire vicino l’uomo Siddharta, prima che ancora gli balenasse l’idea di percorrere il sentiero, prima… che ci fosse un sentiero.

Riesce a farcelo sentire davvero un essere umano come noi, grazie anche al fatto che evita di riportarci i miracoli – citati in alcune tradizioni spirituali – e al fatto che ci racconta delle sue difficoltà avute sia nella società sia all’interno della sua stessa comunità monastica.

Per farlo, Thay attinge ai testi originari e più antichi – come dice lui stesso nella nota iniziale, sia i Nikàya pali che gli Āgama cinesi.

In questo libro si può stare con Siddharta davvero come un amico e vedere come la sua figura e quella degli altri personaggi siano ancora perfettamente attuali: la moglie adorata Yashodara eppure abbandonata, il padre Suddhodana tradito nelle sue aspettative di vedere il figlio diventare il suo successore alla guida del paese, il figlio Rāhula che nella fanciullezza non ha un padre a guidarlo, ma poi trova la sua strada per essere felice, il cugino Devadatta che rimane ferito dai comportamenti di Siddharta e soffre di gelosia per tutta la sua esistenza, cercando a sua volta di far soffrire il Buddha, arrivando a cercare di ucciderlo più volte. Tutti questi personaggi sono ancora vivi oggi, qui e ora.

Il Buddha, raggiunta l’illuminazione sotto l’albero a Gaya (poi Bodh Gaya), si mette in viaggio e lo immagino camminare, lentamente, con dignità e con uno sguardo intenso e sereno: una ciotola in mano per elemosinare il cibo, una veste di ricambio sulla spalla e… nient’altro. Che libertà, che gioia: camminare per camminare, respirare accordando il ritmo con il passo, con il solo scopo di testimoniare un modo nuovo di essere vivo, completamente risvegliato a ciò che accade dentro e intorno. A volte cerco di fare mia questa esperienza, di sentire come poteva essere espansa la sua coscienza mentre camminava e contemporaneamente percepiva sia la propria gioia, sia la sofferenza di uomini e animali.

Come sarà stata potente in lui in quel momento la determinazione a condividere la sua esperienza!

In mezzo alle pagine del libro trovo foglie secche di bambù, raccolte a Patna, oppure più avanti una foglia dell’albero della Bodhi di Bodh Gaya, a forma di cuore.

Di questo viaggio in India ho ricordi a volte buffi – come quando ho comprato un bel cuscino zafu in un negozio vicino al tempio di Bodh Gaya e mi sono seduta sotto l’albero della Bodhi per imitare il Buddha: il luogo meno propizio per far questo, oggi! Un sacco di gente viene in pellegrinaggio, vuole toccare l’albero, vuole ricoprirlo di foglia d’oro e … nel farlo ti calpesta, strilla, fa  sgretolare anche le più fervide intenzioni meditative! Ricordi a volte frustranti – come quando eravamo a Rajagrha, al Picco dell’Avvoltoio e un diluvio d’acqua ci ha impedito di fare la tanto agognata ascesa al monte!

Quella di Siddharta è una grande storia, lunga e ricca come tutte quelle indiane sanno essere e possiamo trovarvi proprio tutto. Il momento tanto emozionante che a me rimane nel cuore è quando di notte Siddharta, in compagnia del suo scudiero Channa e del suo fedele cavallo Kanthaka, lascia il palazzo in cui viveva la sua vita privilegiata e parte verso l’ignoto, spinto solo da uno spirito di ricerca e l’acuto desiderio di trovare un’uscita dalla sofferenza di tutti gli esseri.

E quando poi, dopo una lunga galoppata durata tutta la notte fino ai confini del regno, saluta il suo scudiero, gli consegna i suoi capelli recisi, la spada e la collana, saluta con affetto il suo cavallo che si mette a lacrimare, comprendendo che si tratta di un momento di grande svolta. (Questo passaggio l’ho portato all’esame di sanscrito e ci siamo commossi tutti).

Insomma, che sia davanti al camino d’inverno o in spiaggia sotto l’ombrellone, è un libro imperdibile, che rileggerete anche in seguito, proprio come ho fatto io. Buona lettura,”